IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nel procedimento penale n.  54/2009  a  carico  di  Kulvir  Singh
imputato del reato di cui all'art. 10-bis  del  d.lgs.  n.  286/1998,
sentito il parere del p.m. che ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale in relazione all'articolo di cui all'imputazione e del
difensore che si e' associato, questo giudice 
 
                               Osserva 
 
    Il reato appare in contrasto con gli artt. 2,  3,  25  secondo  e
terzo comma in relazione agli arti. 27 e 13 della Costituzione. 
    Il reato in questione appare in contrasto  con  il  principio  di
ragionevolezza rivelandosi del tutto privo di  ratio  giustificatrice
in quanto il fine che si prefigge e' quello dell'allontanamento dello
straniero clandestino dal territorio nazionale. 
    Tale fine viene raggiunto gia'  in  sede  amministrativa  ove  e'
prevista l'espulsione del soggetto irregolare da parte  degli  organi
di  polizia  senza   alcun   nulla-osta   da   parte   dell'Autorita'
giudiziaria. 
    Riguardo alla pena pecuniaria  prevista  dalla  norma  in  esame,
trattasi di applicazione del tutto teorica in quanto,  nella  specie,
sarebbe  applicata  a  persone  nullatenenti  e   privi   di   sicura
domiciliazione tanto che anche la eventuale  conversione  della  pena
pecuniaria in lavori di pubblica utilita'  ex  art.  660  c.p.p.  non
otterrebbe alcun risultato utile. 
    Altrettanto in contrasto  con  il  principio  di  offensivita'  e
proporzionalita' appare il reato in questione ove si consideri che la
suprema Corte, con sent. n. 78/2007,  ha  affermato  che  il  mancato
possesso di un titolo valido per la permanenza nello Stato non e'  di
per se' sintomo di una particolare pericolosita' sociale per cui  non
puo' essere accomunata la semplice permanenza con la situazione dello
straniero che e' entrato nel territorio nazionale per  commettere  un
reato. 
    Infatti la espressione «fatto commesso» contenuta  nell'art.  25,
secondo comma, in relazione all'art. 27 della Costituzione indica  il
carattere personale della responsabilita' penale, imponendo  pertanto
un limite alla applicazione delle pene che costituiscono una «estrema
ratio»  e  devono  essere  applicate  a  particolari  situazioni   di
pericolosita' sociale fra le quali certamente non rientrano i casi di
coloro che per disperazione migrano, sia pur illegalmente,  in  altri
Paesi. 
    Pertanto appare del tutto incomprensibile prevedere un reato  per
una situazione che puo' essere risolta in ambito amministrativo. 
    La  norma  in  esame  contrasta  anche  con   l'art.   10   della
Costituzione e, soprattutto con l'art. 2, violando sia  il  principio
di solidarieta', posto  tra  i  valori  fondamentali  dell'uomo,  sia
assumendo un connotato discriminatorio nei confronti di persone  che,
in condizione di bisogno, vengono considerate possibili fonti di atti
delinquenziali. 
    (Vedasi a tal proposito  la  Convenzione  di  Ginevra  sull'asilo
politico,  la  Dichiarazione  dei  diritti  dell'uomo  e   le   varie
Convenzioni sui lavoratori  migranti  e  sui  Diritti  del  fanciullo
ratificate dall'Italia). 
    Va infine rilevato, quale ulteriore  profilo  di'  irrazionalita'
della norma, che il reato di illegale  trattenimento  nel  territorio
dello Stato, rispetto a quello istantaneo di ingresso clandestino, e'
privo di normativa transitoria (quale quella prevista per le  colf  e
badanti) per cui il clandestino, anche se lo volesse, non godrebbe di
alcuna possibilita' di evitare i rigori della legge.